La statuetta mutila di “Arianna addormentata nell’isola di Nasso” nel area del Porto di Vibo Marina. Di Giuliano Guido

Inserisco uno stralcio sulla descrizione della statuetta mutila attribuita ad “Arianna addormentata nell’isola di Nasso”, risalente al II secolo dc. tratto dal libro di Antonio Montesanti, “TRA MARE E TERRA” Il ruolo dei traffici marittimi nella storia del territorio costiero vibonese.

La statua era collocata sopra una fontana pubblica, fonte di approvvigionamento di acqua potabile poi successivamente spostata e 
“…recuperata alla visione pubblica grazie all’impegno della Pro Loco di Vibo Marina, è posta in una piccola area verde della cittadina, mentre fino al 1946 era visibile sulla stessa fontana ammirata dal Lenormant. Essa raffigura una donna, acefala, distesa sul fianco destro. Dai resti del collo la testa doveva essere come reclinata sulla spalla destra. Il braccio destro poggiava col gomito sul rialzo roccioso, mentre il sinistro, ora perduto, era piegato sul petto e la mano posava sulla spalla destra. Il manto avvolgeva i fianchi e le gambe; la gamba sinistra, in parte perduta, era leggermente flessa. E’ probabile che la sistemazione su una fontana riprendesse la sua funzione originaria, vista la modesta qualità, destinata appunto ad un giardino, come prova tutta una numerosa serie di esemplari simili, alcuni dei quali mostrano anche i resti di fistule per zampilli d’acqua.”

DAL FEUDO DI SANTA VENNERA AL PORTO DI S.VENERE
E’ forse il caso di iniziare la storia del feudo di Santa Venere, l’odierna città di Vibo Marina, con le parole del famoso archeologo francese Lenormant, che visitò l’area costiera proprio durante la costruzione del nuovo porto, perché rappresentano fino ad oggi l’unico approccio storico-etimologico, alla storia centro urbano costiero: “Questo punto si chiama porto di S. Venere per una antica statua in marmo assai mutilata, che è lì da tempo immemorabile, e che fu posta al disopra di una piccola fontana. I contadini le rendono un culto sotto il nome di Santa Venere. E’ probabilmente santa Paraskevì, la martire di Locri nei tempi della persecuzione di Diocleziano, venerata soprattutto dalla chiesa greca sotto questo nome”.(Nota 318)
L’archeologo riceve informazioni dagli abitanti del posto, che collocano la statua come ornamento di una fontana posta, al bivio Monteleone – Pizzo – S.Venere, lì, da tempo immemorabile, riconoscendola immediatamente come copia della “Arianna addormentata nell’isola di Nasso, uno dei soggetti che la scultura antica più si compiacque di trattare”. 
Non sono però affatto chiari i modi ed i tempi del suo ritrovamento. Essa viene elencata tra i rinvenimenti effettuati qualche anno prima della visita del Lenormant, durante i primi lavori del tronco ferroviario Porto S. Venere-Pizzo, iniziati nel 1870, nella stessa zona in cui vennero recuperate altre due pregievoli statue, raffiguranti una copia dell’Artemide di Dresda ed un ritratto femminile, di età claudia, in basalto nero, ritrovamenti risalenti al 1894. Difatti però solo queste ultime risultano ufficialmente consegnate ai responsabili governativi, mentre la statuetta dell’Arianna dormiente, inspiegabilmente, la ritroviamo inglobata nella fontana. “Una vaschetta con una statuetta da cui linfe zampillano” , viene però segnalata nella relazione preliminare sulla costruzione del porto di S. Venere redatta nel 1834, e cioè risalente a quasi quaranta anni prima dell’inizio dei lavori ferroviari. Ciò rende ipotizzabile il suo inserimento nella lista dei rinvenimenti effettuati durante quei lavori, esclusivamente per documentarne il valore archeologico, mentre in realtà la statuetta non venne mai spostata da quella fontana, così come testimoniato al Lenormant dagli abitanti del luogo. La statuetta, databile tra la seconda metà del II ed il III secolo d.C.320 raffigura una ninfa addormentata su un rilievo roccioso, coperto dal suo manto. La scultura risulta essere una riproduzione romana di un tipo ellenistico e che sia un opera tarda è confermato dall’utilizzo del trapano nella lavorazione del marmo. Certamente in quella statuetta di marmo è stato emblemanticamente riassunto dalla tradizione popolare, quel percorso storico-religioso, iniziatosi con un uso cultuale pagano dell’area costiera ed a cui si sarebbe poi sovrapposto, probabilmente tra il XI ed il XV secolo, il culto alla martire cristiana Santa Venera o Parasceve.
Nota 318: F. Lenormant, Op. cit, “ Ella era così chiamata, dicono, perché nata il venerdì, come santa Cyriaca o Kiriakì, la martire di Tropea nell’epoca della stessa persecuzione, perché nata di domenica. In qualche liturgia latina della Calabria, il nome di Paraskevì è tradotto per Venera; in un diploma del gran conte Ruggero, il villaggio di Paravati, alle porte di Mileto è detto Terra Parasceves, in est Sancte Venere. Ma a cagione dell’assonanza del nome, che vi si prestava facilmente è l’antica Venere che è stata conservata dalla superstizione popolare sotto la veste di S. Venere nel culto dei contadini nei dintorni di Monteleone. E’ in effetti, per le malattie delle donne che s’invoca la sua intercessione. (…) Quanto alla statua, cui si dà, nei dintorni di Monteleone, il nome di Santa Venere, essa raffigura in realtà Arianna addormentata nell’isola di Nasso, uno dei soggetti che la scultura antica più si compiacque di trattare…”. Grazie Antonio Montesanti